2005

A. Badiou, La Commune de Paris: Une déclaration politique sur la politique, Les Conférences du Rouge-Gorge, Paris 2003; trad. it. La Comune di Parigi, Edizioni Cronopio, Napoli 2004, pp. 69, ISBN 88-85414-93-1

Osannata o demonizzata. Passati i due mesi di grande speranza o terribile incubo, gli oltre centotrent'anni successivi alla Comune di Parigi sono stati occupati da celebrazioni sempre più rituali, non meno pericolose del baratro della rimozione. Nell'un caso come nell'altro l'esperienza insurrezionale viene consegnata al passato, per diventare vuota icona priva di vita. Così, se Isaiah Berlin nella sua biografia di Marx descrive l'orrore dei contemporanei per i massacri di "una banda di pazzi criminali", abbandonati persino da molti rivoluzionari dell'epoca, i marxisti hanno successivamente fatto l'apologia dei comunardi, più per legittimare il proprio presente che non per analizzare il significato profondo di quell'evento. Tentando di creare un'alternativa ai due approcci dominanti, è questo che prova a fare Alain Badiou, provocante e arguto filosofo della politica, che ha proprio nella filosofia politica uno dei principali obiettivi polemici. L'agile testo La Comune di Parigi. Una dichiarazione politica sulla politica, è la trascrizione di una conferenza tenuta nel gennaio 2003 nell'ambito di un ciclo di seminari sui rapporti tra storia e politica, proposto dall'Organisation politique.

Badiou prende dunque le mosse da una critica radicale della commemorazione, come ciò che impedisce ogni riattivazione. In altri termini, si tratta di far emergere le questioni propriamente politiche che la Comune ha portato a galla, o quantomeno ha saputo intravedere, e che sono state sistematicamente soppresse dalle interpretazioni classiche. A queste ultime non è estraneo neanche Marx, pur così attento a differenziarsi in modo inequivoco dai marxismi che già intorno a lui iniziavano a fiorire. C'è infatti, secondo il filosofo francese, un'ambiguità nel bilancio della Comune fatta dal Moro di Treviri in presa diretta con i fatti. Da una parte, egli elogia i provvedimenti e le azioni che mirano a un dissolvimento dello Stato (il rifiuto di un esercito professionale, la decisione di consegnare le armi al popolo, l'elezione e la revocabilità dei funzionari, la fine della separazione dei poteri, la vocazione internazionalista). D'altra parte, però, Marx deplora la mancanza di decisione riguardo alla guerra con la Prussia, le incertezze sulla questione nazionale, la debolezza nella centralizzazione: in breve, le incapacità in materia statale. La pesante eredità di questo double bind è così espressa dall'a.: «L'ambiguità del bilancio di Marx sarà tolta, per più di un secolo, dalla disposizione socialdemocratica e poi dalla sua radicalizzazione leninista, cioè dal motivo fondamentale del partito [...] Il partito diventa il luogo di una tensione fondamentale tra il carattere non statale, o addirittura anti-statale, della politica d'emancipazione e il carattere statale della vittoria e della durata di questa politica. E questo vale, d'altronde, sia nel caso di una "vittoria" insurrezionale che di una vittoria elettorale: lo schema mentale è lo stesso» (pp. 19-20). Tale ambiguità, come noto, verrà riassunta nella straordinaria opera di Lenin Stato e rivoluzione, in cui la prospettiva dell'estinzione dello Stato vive in una simbiosi (che si rivelerà mortale) con la necessità della dittatura del proletariato.

Dunque, se sono effettivamente superati i problemi relativi al potere e allo Stato, vivi sono i contenuti politici della Comune. In cosa ciò si esprima, ci è indicato da Badiou in termini recisi: «La Comune è ciò che per la prima volta, e finora anche per l'unica, rompe con il destino parlamentare dei movimenti politici operai e popolari. [...] La dichiarazione [del Comitato centrale della guardia nazionale] del 19 marzo del 1871 [...] è una dichiarazione di rottura con la sinistra [intesa come] l'insieme del personale politico parlamentare che si dichiara il solo capace di assumere le conseguenze generali di un movimento politico popolare singolare» (pp. 35, 37).

Battendo questa feconda strada, la primavera parigina del 1871 assume per l'a. le caratteristiche di un sito, ossia una singolarità che espone se stessa nell'apparire di una situazione, condensata nel 18 marzo, ossia il giorno del fallito tentativo di disarmo degli operai e di recupero dei cannoni che i comitati della guardia nazionale hanno disperso nella Parigi popolare. È l'inizio, «folgorante e totalmente imprevedibile», di una rottura, intesa come «combinazione fra una capacità soggettiva e l'organizzazione, completamente indipendente dallo Stato, delle conseguenze di questa capacità» (p. 68). Più precisamente, è «l'apparire, nello spazio della capacità politica e di governo, dell'essere-operaio, che fino a quel momento non era stato che un sintomo sociale, una forza bruta delle rivolte e una minaccia teorica» (pp. 43-44). Ma se il sito è una figura dell'istante, che appare solo per scomparire, la vera e propria durata è costituita dalle sue conseguenze, ossia delle relazioni tra esistenze, la cui intensità può essere debole - ciò che l'a. chiama fatti - oppure massima, dando vita a singolarità. Così, in un mondo situato tra l'evento Comune e la forza repressiva dei versagliesi, che cerca di de-singolarizzarne l'esistenza, riportando i fatti a normalità, è «alla rete delle conseguenze che tocca allora decidere» (p. 57).

Tra il 21 e il 28 maggio le truppe di Versailles riconquistano, barricata per barricata, la città difesa dai comunardi, 20.000 dei quali verranno fucilati, 50.000 arrestati e un numero imprecisato deportati. Passato lo spavento, si può tornare agli affari dello Stato-nazione, alle ben più normali conseguenze della sconfitta con la Prussia: la Terza Repubblica ha inizio. Ma la Comune non muore tra gli arrondissments della capitale francese, e ben più che un epitaffio sono le parole che Marx dedica ad essa: «La Comune è l'inizio della rivoluzione sociale del XIX secolo. Quale che sarà il suo destino a Parigi, essa farà il giro del mondo». Dunque, se è «un'insurrezione che non fonda nessuna durata» (p. 59), lascia però aperto il campo di possibilità delle sue conseguenze: «gli inizi sono misurati dalla loro possibilità di ricominciare» (p. 60). La Comune porta a esistenza ciò che prima non esisteva: non la classe operaia in quanto vuota icona collettiva, nel cui nome universale perseguire la dittatura del partito-Stato, ma l'irrompere di una rete comune di singolarità. Quindi, «come ogni autentico evento, la Comune non ha realizzato un possibile, ma l'ha creato. Questo possibile è semplicemente quello di una politica proletaria indipendente» (p. 66).

Il pamphlet di Badiou si conclude con l'esplicitazione della rottura politica comunarda con la sinistra e con la democrazia, coraggioso tratto critico che unisce l'opera del francese con quella di Slavoj Žižek. Forse, tuttavia, con l'audace attenzione analitica che certo non fa difetto a Badiou, bisognerebbe scavare dentro le ambivalenze dei siti sinistra e democrazia. Se da una parte entrambi sono storicamente rappresentati dalla loro concrezione parlamentare e statale, dall'altra contengono - spesso oltre le loro intenzioni - anche le tensioni e le pratiche dei movimenti nelle loro espressioni singolari. Da questo punto di vista, la Comune è leggibile come "esplosione democratica", per usare una categoria felicemente utilizzata proprio da Žižek per descrivere gli eventi del '17 in Russia. Questi siti sono continuamente ecceduti dalle pratiche evenemenziali di una democrazia diretta e radicale - quindi non statale -, che al contempo li attraversano ma sono irriducibili ad essi. È questo scarto, forse, il luogo in cui pensare l'impossibile possibilità del comunismo.

Gigi Roggero