2005

A. Cassese, M. Chiavario, G. De Francesco (a cura di), Problemi attuali della giustizia penale internazionale, Giappichelli, Torino 2005, ISBN 88-348-4641-9

Il moltiplicarsi di iniziative giudiziarie volte alla punizione dei più gravi crimini internazionali costituisce, a parere dei curatori, il segno di una "crescente domanda di giustizia penale internazionale" (p. IX) e, come tale, la motivazione da cui ha preso avvio il progetto di ricerca delle università di Catania, Firenze, Pisa e Torino i cui esiti sono raccolti in questo volume.

Tre sono i nuclei tematici attorno ai quali si articola il contenuto dei saggi: il diritto penale sostanziale nello Statuto della Corte penale internazionale; il diritto processuale e la cooperazione giudiziaria; la competenza del giudice nazionale per crimini internazionali. Nel trattare questi argomenti, sono costantemente tenuti presenti due aspetti: il confronto con il sistema giuridico italiano e la ricostruzione storico-giuridica dei precedenti. La trattazione del primo aspetto è volta a mettere in luce le possibili interazioni o discrepanze tra il sistema giuridico italiano ed il sistema di norme istituito dallo Statuto della Corte penale internazionale, mentre il secondo ha lo scopo di contestualizzare le problematiche sorte con i recenti mutamenti del diritto penale internazionale all'interno di un percorso il cui avvio viene fatto coincidere, quantomeno, con il secondo dopoguerra. Al termine di questo percorso, viene spesso sottolineato il carattere innovativo della Corte penale internazionale, sia per l'introduzione di norme radicalmente diverse da quelle vigenti in precedenza, sia per il la sistematizzazione e la codificazione di norme già vigenti.

Nonostante gli interventi costituiscano, prima di tutto, un contributo di carattere giuridico, essi non mancano di porre interrogativi teorici e filosofici di ampia portata, spesso consapevolmente ed esplicitamente, talvolta portando il lettore ad interrogarsi sui presupposti metagiuridici delle tesi esposte o delle posizioni assunte dagli autori. Tra queste è da sottolineare anzitutto la valutazione globalmente positiva del crescente attivismo giuspenalistico a livello internazionale, che viene espressa dai curatori nella presentazione e che traspare, seppur con modulazioni differenti, da tutti i saggi.

Diverse sono le tematiche, affrontate nei saggi, legate a temi di filosofia della pena.

Anzitutto, come viene messo in luce nel saggio di Adriano Martini (Il principio nulla poena sine lege e la determinazione delle pene nel sistema della Corte penale internazionale, pp. 215-249), la questione del fondamento del diritto penale internazionale, e dunque della sua legittimazione, pone alcune difficoltà. La carenza di democraticità circa la genesi del diritto internazionale in generale, e dello Statuto di Roma in particolare (che è stato negoziato tra membri dell'esecutivo degli Stati e non deciso da rappresentanti democraticamente eletti dai cittadini), fa sì che lo Statuto rispetti il principio di legalità penale solo ad un livello superficiale. Lo Statuto, infatti, indica l'insieme di norme cui fare riferimento, ma non si occupa della selezione delle fonti, la cui genesi democratica costituisce la fondamentale garanzia protetta dal principio di legalità penale.

Lo stesso saggio, insieme a quello di Antonio Pulvirenti (L'esecuzione delle pene detentive inflitte dalla Corte penale internazionale: un difficile equilibrio tra effettività e garanzie costituzionali, pp. 467-494), si occupa anche della funzione della pena nel diritto penale internazionale. I due saggi tematizzano in modo esplicito e problematico il carattere fortemente simbolico e la finalità principalmente retributiva della giustizia penale internazionale. Il carattere odioso dei crimini commessi, la carenza di norme che si occupino delle finalità della pena (omesse anche nello Statuto di Roma), e la visione che traspare in alcune parti del volume stesso, laddove, per esempio, si afferma che il sistema di norme del diritto penale internazionale "si prefigge di [...] ristabilire, attraverso la celebrazione del processo, una giustizia assoluta e simbolica" (p. 130, corsivo aggiunto), concorrono nel mettere in questione il valore preventivo e la finalità rieducativa delle pene inflitte dai tribunali internazionali.

L'elemento più interessante che emerge dai saggi, e che segnala con più urgenza la necessità di una riflessione originale ed autonoma sul diritto penale internazionale, è costituito dalla dimensione comunitaria e collettiva che caratterizza i crimini puniti dai tribunali internazionali, caratteristica che li rende sfuggenti alle categorie elaborate dalla riflessione sul diritto penale interno. Nei saggi di Francesco Moneta (Gli elementi costitutivi dei crimini internazionali: uno sguardo trasversale, pp. 3-40), Emma Venafro (Lo stato di necessità, pp. 103-127), Paola Gaeta (Un'analisi dell'applicazione dei principi di territorialità e nazionalità attiva, pp. 513-548) e Salvatore Zappalà (L'universalità della giurisdizione e la Corte penale internazionale, pp. 549-559) questa dimensione collettiva viene messa in luce sotto diversi aspetti. La peculiarità di questi crimini è data in primo luogo dalla collettività del soggetto offeso (l'intera comunità internazionale) e dall'universalità del bene protetto e, in secondo luogo, dalle modalità della loro genesi ed esecuzione. Essi richiedono infatti una pianificazione ed una preparazione collettiva, spesso a livello istituzionale, e la loro commissione prevede sempre e per definizione una dimensione contestuale che li pone in relazione con la progettazione o la commissione di altri crimini.

Numerose sono anche le questioni più generali di filosofia politica chiamate in causa dai temi trattati.

La dialettica tra universalismo e relativismo dei valori o la questione del fondamento dei beni protetti dal diritto penale internazionale vengono immediatamente richiamate, seppur per contrasto, da posizioni come quelle espresse nei saggi di Antonio Vallini (L'elemento soggettivo nei crimini di competenza della Corte Penale Internazionale, pp. 41-83) e di Alberto Gargani (Le norme statuarie concernenti l'imputabilità, pp. 85-102). In essi, infatti, come del resto nello Statuto della Corte penale internazionale, il carattere criminoso delle condotte punibili dalla Corte è considerato evidente ed universalmente condiviso in quanto riferibile non ad "un'etica 'di parte'- o, ancor peggio, ad un'etica 'di Stato'- ma ad un'etica che può a ragione ritenersi espressiva di un orientamento assiologico minimale, espresso dalla comunità umana in sede internazionale" (p. 61). Possibili divergenze culturali vengono prese in considerazione solo nel caso dei crimini di guerra, la cui definizione, a parere degli autori, risulta in alcuni casi più convenzionale, ma, qualora assumano proporzioni importanti, vengono ascritte ad un "ritardo culturale" tipico di "comunità scarsamente evolute" (p. 95).

I saggi di Valentina Caccamo (La disciplina della legittima difesa, pp. 129-148) e di Gaetana Morgante (La responsabilità dei capi e la rilevanza dell'ordine del superiore, pp. 149-179) sollevano invece la delicata questione del rapporto tra diritto e potere. Al fondo della scelta, per la quale si è optato nello Statuto della Corte penale internazionale, di escludere l'esimente per l'ordine superiore, c'è infatti una "scelta di politica criminale" secondo la quale l'ordine che comanda di commettere crimini così gravi non è da ritenersi valido: il potere, dunque, non fonda il diritto, ma, viceversa, risulta valido solo se conforme al diritto. Lo Statuto si spinge poi oltre nell'affermazione della supremazia del diritto, in quanto l'ordine superiore non solo non costituisce una causa di esclusione della responsabilità del subordinato, ma costituisce anche il fondamento dell'affermazione della responsabilità del superiore.

Sotto un altro profilo, il saggio di Valentina Caccamo chiama in causa quel complesso intersecarsi di diritto, morale e forza costituito dal tema della guerra giusta. Lo Statuto di Roma, infatti, a parere dell'autrice, facendo rientrare nella definizione di "autodifesa" anche atti a tutela della proprietà (e quindi anche di armi), se commessi nel quadro di "una difesa legittimamente esercitata sul piano interstatale" (p. 141), mira a tutelare coloro che stanno combattendo una guerra "giusta". Benché l'autrice faccia riferimento a criteri sostanzialmente giuridici e identifichi a grandi linee la guerra ingiusta con una guerra di aggressione, le difficoltà e le ambiguità che accompagnano la definizione di "aggressione" e l'estrema rilevanza politica del tema non possono far sì che esso rimanga confinato alla dimensione strettamente legalistica.

Infine, il tema della sovranità statale, ineludibile in quanto il diritto di punire è anzitutto una prerogativa dello Stato sui propri cittadini, emerge dai saggi di Agata Ciavola (Arresto e consegna nel sistema della Corte penale internazionale, pp. 431-457) e di Paola Gaeta (Il diritto internazionale e la competenza giurisdizionale degli Stati per crimini internazionali, pp. 497-511). Ad un primo livello, esistono infatti difficoltà legate alla singolarità di organismi come i tribunali internazionali, ai quali è conferito un potere di giudicare e di punire, privo però di un effettivo potere d'imperio. Ad un secondo livello, poi, la coesistenza e l'interazione con gli Stati può far sorgere conflitti, la cui risoluzione dipende dalla scelta, operata a livello metagiuridico, tra una concezione "fattuale" ed una "giuridica" della sovranità.

Questa pubblicazione, dunque, lungi dal rappresentare un contributo circoscritto all'ambito giuridico, costituisce anche uno stimolo per la ricerca filosofica. Essa, mostrando come anche le soluzioni più tecniche presuppongano opzioni di carattere metagiuridico che tuttavia rimangono spesso inindagate se non addirittura implicite, segnala con forza la necessità di una riflessione sul diritto penale internazionale, sul suo fondamento ed i suoi scopi. D'altra parte, mettendo in luce le peculiarità dei crimini e dei soggetti internazionali, il volume denuncia l'irriducibilità della dimensione internazionale alla dimensione interna e la necessità, per la riflessione filosofica, di elaborare categorie che siano adeguate alle caratteristiche del diritto penale internazionale nonché, insieme, l'impossibilità di isolare questi temi rispetto a tematiche più generali di filosofia politica e morale.

Elisa Orrù