2005

A. Cassani, D. Felice (a cura di), Civiltà e popoli del Mediterraneo. Immagini e pregiudizi, Clueb, Bologna 2000, pp. XV-303, ISBN 8849110782

Secondo la lezione di Fernand Braudel, il Mediterraneo esaminato dai curatori di questo volume non è solo e semplicemente uno spazio geografico, quanto un soggetto, un vero e proprio personaggio storico (F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, Einaudi, Torino 1953), con una sua identità, il cui sviluppo tuttavia ne ha reso la definizione complessa e sfuggente. Ma la storia del Mediterraneo è qui innanzitutto la storia dei popoli che il Mare interno ha unito e diviso, per i quali ha rappresentato una via di comunicazione e allo stesso tempo un confine naturale che ha comportato anche discriminazione.

I saggi contenuti in questo volume, il primo della collana dei Quaderni di Dianoia, pur senza alcuna pretesa di esaustività, cercano infatti di affrontare alcuni nodi cruciali che sono emersi attraverso l'incontro/scontro dei differenti universi culturali che hanno popolato il Mediterraneo, principalmente (dopo la koiné del paganesimo) quello greco-ortodosso, quello cristiano, quello ebraico e quello musulmano. Gli autori spaziano in diversi campi, dalle discussioni sul migliore dei governi ai problemi della paleolinguistica, dai conflitti religiosi agli studi razziali di fine Ottocento. Il Mediterraneo è stato sotto molti punti di vista il palcoscenico su cui sono venuti a contatto, spesso in modo piuttosto drastico, culture, religioni, sistemi politici ed economici diversi e per lo più contrastanti, e questo ne ha fatto in un certo senso il luogo ideale per lo studio dei vari processi di interazione delle civiltà. Gli autori, piuttosto che inseguire un ideale ingenuamente unitario che semplifichi questo panorama multiforme, hanno scelto di studiare le radici dell'alterità e le conseguenze che sono derivate dal progressivo mescolarsi di sistemi così eterogenei, tanto nel bene quanto nel male. Il problema che resta sullo sfondo di tutti i saggi è proprio l'aspetto ambivalente di ogni pluralismo: ogni interazione, mentre arricchisce il panorama culturale di una società, al tempo stesso fa emergere anche tutti i motivi di divisione; razzismi, integralismi, nazionalismi, fratture e squilibri sono l'inevitabile rovescio della medaglia che si nasconde dietro ogni consolante prospettiva di una felice fusione tra i popoli. La domanda cruciale in questo senso è quella posta da E.W. Said nel suo Orientalism: "Si può dividere la realtà umana, che sembra in effetti di per sé divisa, in culture, eredità storiche, tradizioni, sistemi sociali e perfino razze diverse, e salvare la propria umanità dalle conseguenze?" (p. XIV).

I contributi sono stati inseriti secondo un ordine storico: si va dalla nascita del concetto del "barbaro" presso i greci alle problematiche sollevate intorno alla "questione ebraica" tra fine Ottocento e inizio Novecento. Il genere in cui rientrano questi saggi è quello della "storia delle idee". Questo significa, come spiegano i curatori A. Cassani e D. Felice, che gli autori hanno scelto in generale un approccio che risultasse soprattutto "attento alla specificità dei contesti e alla pluralità delle tradizioni" (p. XV): in questo modo il Mediterraneo diventa una sorta di "frontiera mobile" al cui interno si sviluppano le categorie concettuali attraverso cui i popoli definiscono se stessi venendo a contatto con l'altro, l'estraneo, il diverso. Quasi sempre il rapporto noi/loro si traduce nella dialettica superiore/inferiore, il che è forse inevitabile quando la posta in gioco è il predominio sul territorio; del resto non bisogna dimenticare che il Mediterraneo è stato anche e soprattutto un terreno di competizione e di conquista. Aristotele, come viene esaminato nel saggio di G. Giorgini, si trovò dunque alle prese con il problema di giustificare una supremazia militare e politica attraverso categorie ontologiche: è così che sorge l'immagine dell'orientale "schiavo per natura" che in seguito è diventata un classico del pensiero occidentale fino ai giorni nostri (basti considerare come affronta il problema Montesquieu nell'Esprit des lois, nel saggio di D. Felice); quello che ad alcuni è sembrato un cedimento inspiegabile da parte del fondatore della logica occidentale nasce in realtà da una problematica mistificazione che affonda le sue radici molto più in là di Aristotele stesso, nell'universo concettuale dell'uomo greco ai tempi delle guerre contro i persiani. Un problema simile si trova alla base anche del saggio di M. Pesce: all'epoca di Cassiodoro la battaglia per la supremazia politica diventava una lotta nel nome della "vera fede", l'inferiorità ontologica degli ebrei si manifestava nella loro incapacità di convertirsi al cristianesimo, esattamente come per Aristotele l'inferiorità del "barbaro" si rivelava nella sua incompatibilità con il regime democratico. La tendenza a spiegare una differenza storica, geografica, culturale come differenza ontologica e dunque a trattare il problema in termini di superiorità/inferiorità, ha dato origine a concezioni sempre più complesse; mano a mano che si approfondiva l'analisi e aumentavano gli studi scientifici e pseudoscientifici, venivano elaborate teorie volte innanzitutto a giustificare le gerarchie e le divisioni all'interno di un'area solo nominalmente omogenea. Il linguaggio, la religione, perfino la conformazione cranica e i lineamenti del volto sono stati assunti come prove a posteriori della superiorità di un popolo. I teorici della divisione hanno dovuto moltiplicare i loro sforzi per trovare una soluzione al medesimo dilemma in cui si era trovato Aristotele: sancire un diritto al dominio senza nulla concedere all'immoralità della "legge del più forte" significava dimostrare che esistevano ragioni profonde, insite nella natura stessa delle cose, a fondamento di tale diritto. Questo problema viene affrontato nel saggio di M. Olender, L'Europa, ovvero come sfuggire a Babele e poi ripreso in quello di R. Arnaldez, Renan e l'Islam. Attraverso la ricostruzione del dibattito intorno alla lingua "adamitica", giunta in qualche modo in Europa nonostante Babele e la dispersione di popoli e culture che ne è seguita, Olender fornisce al lettore un'immagine eloquente di come uno studio storico e linguistico possa divenire strumento in una disputa razziale, dove ogni elemento contribuisce alla dimostrazione della superiorità - sancita dalla natura e dalla fede - di un popolo sul resto del mondo civilizzato. Dalla ricerca delle radici "iafetiche" (dal nome del terzo figlio di Noè) dei linguaggi europei si arriva alle teorie sulla "pura razza ariana". Gli argomenti della linguistica, uniti ai pregiudizi secolari sull'inferiorità culturale del "barbaro", diventano prove a sostegno di chi attribuisce "ai soli indoeuropei talenti intellettuali, qualità ontologiche e genetiche che sono all'origine delle grandi avventure dell'intelligenza umana" (p. 155).

Il contributo di A. Orsucci, Ariani, Indogermani, stirpi mediterranee: aspetti del dibattito sulle razze europee (1870-1914), riprende e approfondisce il discorso di Olender proprio alla luce del dibattito fin de siècle sulle razze: "Dopo il 1870-71, come conseguenza del conflitto tra francesi e tedeschi, divampa all'improvviso, in tutto il continente, la discussione sulla 'razza' e sui fondamenti 'etnici' delle civiltà" (p. 252). Il crescere degli impeti nazionalistici, in concomitanza con le vocazioni egemoniche e coloniali, ha portato a risollevare le argomentazioni (mai morte) dei teorici del purismo razziale. Nonostante l'esistenza di un nutrito "fronte" di antropologi, filosofi, linguisti e scienziati convinti che la gens europea fosse frutto delle più straordinarie mescolanze e che, d'altro canto, tra razza e civiltà non esistesse alcun rapporto di causalità reciproca, ancora una volta il riconoscimento di un pluralismo, la distinzione dell'umanità in popoli e culture, ha mostrato solo i suoi aspetti negativi. Questo si vede nel saggio di R.S. Wistrich, che, attraverso la ricostruzione del dibattito sorto attorno all'Affaire Dreyfuss, fa il punto sul discorso delle razze in Europa alla vigilia degli avvenimenti più drammatici del XX secolo.

Oggi i nodi del confronto e della mescolanza dei popoli nel Mediterraneo si ripresentano intensificati dal processo di globalizzazione. Nonostante in molti casi sia stata infine raggiunta la pacifica convivenza e la valorizzazione di ogni pluralismo, il modello dicotomico noi/loro è ancora ben presente nel panorama mondiale, e ancora tornano le accuse di integralismo e la pretesa superiorità di un sistema politico e culturale che garantisca più di ogni altro libertà e uguaglianza. Per questo i diversi temi affrontati da questo volume, le immagini di questo arcipelago storico e culturale, acquistano un grande interesse per chi voglia affacciarsi su un confronto cui ogni giorno siamo chiamati con mente aperta e disponibilità al dialogo. In questo senso il Mediterraneo diventa un esempio su scala ridotta di una serie di processi che continuano a ripetersi, e che metteranno alla prova, probabilmente per molto tempo ancora, le nostre categorie concettuali.

Gianmaria Zamagni