2011

T. Casadei (a cura di), Lessico delle discriminazioni: tra società, diritto e istituzioni, Diabasis, Reggio Emilia 2008, pp. 253

Il testo testimonia di uno sforzo sistematico e accurato per far incontrare teorie e pratiche dell'azione antidiscriminatoria. Esso si colloca dunque su quel confine - invero poco battuto - che quotidianamente percorrono coloro che si occupano, da un lato, della ricerca e dello studio delle discriminazioni, dall'altro, di affrontare casi reali di discriminazione. Le due cose sono spesso sfumate e sempre, inevitabilmente, intrecciate, e rare sono le opere che cercano di tenere insieme i due piani (per un altro studio che va in questa direzione: L. Calafà, D. Gottardi [a cura di], Il diritto antidiscriminatorio tra teoria e prassi applicativa, Ediesse, Roma, 2009).

Oltre a questo approccio metodologico, diversi sono gli elementi del volume che meritano di essere messi a fuoco.

Un primo aspetto che va rilevato è che molti dei contributi (in primis quelli di Antonio D'Aloia e di Tecla Mazzarese ma pure quello di Diletta Tega: rispettivamente alle pp. 189-206, 207-231, 42-69) affrontano l'eguaglianza con riferimento al secondo comma dell'art. 3 della Costituzione italiana. Si tratta di un notevole passo in avanti: per lungo tempo sono stati egemoni i testi incentrati sull'eguaglianza formale. Ciò che nella quotidianità dell'azione antidiscriminatoria si nota è la povertà di applicazione del secondo comma dell'art. 3, ovvero dell'eguaglianza sostanziale. "Di fatto", gli ostacoli restano: per questa ragione, come osserva Thomas Casadei nella sua Introduzione, assume "rinnovata centralità" il dibattito sull'eguaglianza e le sue declinazioni (p. 16).

Un secondo aspetto significativo, che attraversa i vari saggi dell'opera, riguarda la convivenza di eguaglianza e diversità. Scelgo appositamente 'diversità' al posto di 'differenza', poiché per differenza intendo quella sessuale, di genere (a cui dedica un contributo specifico Antonella Besussi: pp. 109-123). In questa chiave a 'uguaglianza' può associarsi il termine 'equivalenza', quello che utilizza Emma Baeri nel suo Preambolo alla Costituzione al fine di evitare la trappola dell'omologazione: in tal modo si potrebbe "inscrivere la differenza senza negare il diritto all'uguaglianza" e questo sarebbe "il solo modo per sottrarre l'Habeas corpus delle donne al mutevole vento dei governi e dei papi [...]. Uguaglianza nell'iscrizione delle donne nel diritto della cittadinanza e nella fruizione dei diritti che ne conseguono, per una compiuta e concreta libertà delle donne e degli uomini nelle loro relazioni" (E. Baeri, Corpi e generi, il contributo dei movimenti per l'emancipazione delle donne e del femminismo alla lotta contro le discriminazioni, Mantova, 14 dicembre 2009; cfr. Aa.Vv., Il Novecento e la Bicamerale. Proposta di un preambolo alla Costituzione italiana, Agenda della Società italiana delle Storiche, 1997, pp. 122-123).

Un terzo aspetto riguarda la difficoltà del nominare la "razza": questione nodale su cui hanno posto l'attenzione, tra gli altri, Étienne Balibar (Nominare la razza: http://www.juragentium.org/forum/race/it/balibar.htm) e Joshua Glasgow (On the Methodology of the Race Debate: Conceptual Analysis and Racial Discourse, in "Philosophy and Phenomenological Research", 2, 2008, pp. 333-358). È, questa, una delle discussioni dal carattere più acceso nel dibattito pubblico in tema di discriminazioni, anche nel contesto europeo: in merito si veda la lucida disamina di Chiara Favilli (pp. 207-231). A questo riguardo diviene necessario definire sulla base di quali caratteristiche si individuino gruppi di persone e, conseguentemente, si verifichino casi di discriminazione. La proposta di adottare l'espressione 'etnia' potrebbe forse apparire più accettabile, ma non elimina il problema di ritrovarsi ad utilizzare parole che tengono il linguaggio ancorato a catalogazioni, appunto, razziste. Nella difficoltà di dover utilizzare il termine 'razza' è sempre utile lasciare che i gruppi stessi si nominino, facendo lo sforzo di non accontentarsi di semplificare, ma piuttosto di accettare la complessità. Le comunità rom e sinte, ad esempio, non si definiscono tali su base etnica, ma neppure culturale: moltissimi sono i gruppi, assai diversi tra loro, così come le lingue che usano. Così come per la comunità ebraica, che non sempre si identifica nell'aspetto della religione, ma piuttosto in quello della tradizione e, sovente, della visione laica della vita. Le minoranze, tuttavia, stanno maturando sempre più la consapevolezza che è necessario 'rivendicare' la propria diversità e che quindi è importante definirsi. Chi opera nel settore del contrasto alle discriminazioni non può evitarlo: segnalare una discriminazione significa partire da questo dato, dai tratti dell'alterità (talvolta presunta) del discriminato su cui, in qualche modo, si è basato l'agente discriminante. Si tratta di dati, elementi, che non pretendono una qualsivoglia base scientifica, neppure quella ad oggi utilizzata per indicare l'insieme dei fattori genetici indispensabili, ad esempio, per ricavare la compatibilità in caso di trapianto di organi.

Le riflessioni condotte nei vari saggi consentono di inquadrare, da vari punti di vista, la quotidianità della discriminazione, le modalità con le quali viene affrontata, chi sono i soggetti che la esprimono. Sotto questo profilo, risulta particolarmente intenso il ragionamento di Federico Oliveri (pp. 73-94): dalla sua disamina scaturisce un'efficace sintesi per trattare di pregiudizi e stereotipi, anche con riferimento al mondo dei media e del giornalismo (cfr., a questo riguardo, L. Guadagnucci: Parole sporche. Clandestini, nomadi, vu cumpra: il razzismo nei media e dentro di noi, Altreconomia, Milano, 2010), nonché per fare i conti con la questione della "gestione" delle persone migranti (cfr. p. 81). Particolarmente incisive appaiono le osservazioni svolte sulla forza dei simboli connessi alle parole (cfr. pp. 83 e 84): dopo il «pacchetto sicurezza» e l'introduzione del «reato di clandestinità», in Italia il rispetto della dignità delle persone, in quanto persone, sembra andare alla deriva. Oggi pare che il legislatore non parta più dal declinare la Costituzione, ma al contrario si preoccupi di varare una legge e lasciare che siano poi altri a porre dubbi sulla sua costituzionalità. Le principali vittime di questo sistema 'nuovo', che è solo la coda di tradizioni ben più antiche - come quella della patologia tutta italiana dei decreti d'emergenza, mai portati alle Camere e miracolosamente sempre attivi quando invece dovrebbero decadere - sono le minoranze: a cominciare dai rom e dai sinti, dai migranti.

Di discriminazioni su base religiosa tratta, dal canto suo, Vincenzo Pacillo (pp. 95-108). Il ragionamento pure in questo caso risulta molto puntuale, anche se apre ad un punto interrogativo nell'attribuire carattere discriminatorio, giuridicamente inteso, alla pratica dell'intesa (p. 98). Ci sono confessioni che con lo Stato hanno firmato intese per così dire "col sangue". Basti pensare a quella ebraica, in primo luogo: le ebree e gli ebrei italiani sono minoranza religiosa e come tutte le minoranze vivono in una condizione di permanente discriminazione, nonostante l'intesa. I vantaggi economici sono dovuti al fatto che hanno dato garanzia di totale rispetto del nostro ordinamento - perché è loro, di cittadine e cittadini - e questo mi pare propedeutico a qualunque forma di patto. Altre confessioni non l'hanno fatto, ma non serve per professare liberamente e per avere luoghi di culto (al contrario di quanto sostiene una forza politica come la Lega nord). Certo, sarebbe auspicabile che non servisse affatto un'intesa, ma - e questo è un altro esito di questa indagine condotta sulle forme di discriminazione in Italia - non siamo in uno Stato veramente laico. Quindi non è l'esistenza di 'patti speciali' a creare discriminazione verso e tra le minoranze religiose, ma l'errata modalità di relazione e interlocuzione tra Stato e confessioni. Cosa chiedono, in realtà, queste ultime? Il riconoscimento delle festività (lavoro e scuola), delle unioni matrimoniali e talvolta delle scuole, il loro finanziamento tramite la libera destinazione di parte delle tasse, o, ancora, agevolazioni fiscali per le attività svolte a favore della collettività. La minoranza ebraica gode di un'intesa, ma chi non frequenta l'ora di religione ha problemi (non c'è attività alternativa che contribuisca pari modo alla media scolastica), come li ha chi chiede di non lavorare il sabato (difficilmente la domenica c'è la possibilità di lavorare...). Questi sono solo pochi esempi, tratti dal vissuto quotidiano, ai quali si può aggiungere, a margine, la questione del cibo alle mense.

Molto lavoro è stato fatto sulla disabilità e sul contrasto alle discriminazioni verso le persone con disabilità, come attesta la "Convenzione sui diritti delle persone con disabilità" (CRPD) approvata il 13 dicembre del 2006 e entrata in vigore il 3 maggio 2008, che viene descritta da Elena Pariotti (pp. 159-175). Le persone con disabilità sono la minoranza "maggiormente tollerata", stando alle indagini europee, ma questo sovente deriva da atteggiamenti meramente pietistici. Solo di recente gli uffici degli enti locali stanno tentando di collocare le persone per capacità, di far comprendere ad aziende e datori di lavoro che le persone disabili possono andare ben oltre, se solo si prende in considerazione l'eventualità di fornire alcune misure di supporto adeguate: strumentazioni, flessibilità oraria, trasporto adeguato...

Il tema dell'omoaffettività, quello dei "corpi in transito", è affrontato da Matteo Bonini Baraldi (139-158). "Omoaffettività" è un termine di recente acquisizione che segna come il "lessico delle discriminazioni", ma anche quello volto al loro contrasto (fin dall'uso delle parole), sia in trasformazione. È certamente vero, come osserva l'autore di questo scritto, che non si tratta di uno "spazio privato e come tale extragiuridico" (p. 152). Da tempo in Italia viene chiesta una legge contro l'omofobia. La minoranza LGBT è la sola tutelata contro la discriminazione in ambito esclusivamente lavorativo. Fuori da questo contesto le cose sono ancora molto confuse. Si sono risolti alcuni casi, ma solo grazie alla mediazione e puntando sul reato di molestia, nulla più. Per queste ragioni, ma non solo, occorre prendere sul serio le condizioni dei "lavoratori svantaggiati", come suggerisce Laura Calafà (pp. 124-138), motivando la pratica delle "azioni positive".

Altro segno delle trasformazioni in corso è il configurarsi di forme di discriminazione inedite, come quella "genetica" e quella "specista" teorizzate, rispettivamente, da Jürgen Habermas (cfr. Il futuro della natura umana, Einaudi, Torino, 2002) e Peter Singer (cfr. La vita come si dovrebbe, Il Saggiatore, Milano, 2001) ed esaminate in una prospettiva che non rinuncia al ricorso al linguaggio dei diritti da Marina Lalatta Casterbosa (pp. 176-185).

Ad uno sguardo d'insieme, uguaglianza e diversità è il binomio che attraversa l'intero volume. Garantire i diritti e, al contempo, la rivendicazione dei singoli, dei gruppi, dell'"essere Altro" - decostruendo ogni forma di stereotipo (su questo punto si veda il contributo d'apertura di Stefano Boni: pp. pp. 23-41) - costituiscono gli obiettivi fondamentali che le istituzioni dovrebbero perseguire. Tali intenzioni risultano particolarmente esigenti se si guarda al tempo presente: si assiste sempre più di frequente a "guerre tra poveri" in ogni dove (la vicenda delle case popolari alle famiglie rom milanesi costrette ai 'campi nomadi' ne è solo un esempio) e a storie di diritti "negati", traditi", "proibiti". La minoranza rom e sinta nel nostro Paese sta vivendo, per citare un esempio tra i tanti, un momento tragico che dovrebbe richiamare tutte e tutti ad un lavoro serrato, ad un'attenzione urgente. Loro sono, mutuando un'espressione di Oliveri, la nostra prima "funzione specchio" (p. 89): per tale ragione occorrerebbe agire: per quelle bambine, per quei bambini, "posterità inopportuna" di un Paese malato, che maltratta, esclude, viola i propri figli (su questi temi rinvio al forum organizzato da "Jura Gentium" su La "minoranza insicura". I rom e i sinti in Europa; cfr. anche A. Simoni [a cura], Stato di diritto e identità rom, L'Harmattan Italia, Torino 2005).

Più in specifico, sul piano giuridico-istituzionale, interessanti interrogativi e sollecitazioni rispetto alle molteplici questioni affrontate nei vari saggi pone il "principio di ragionevolezza" illustrato nel suo contributo da Tecla Mazzarese (p. 215): esso appare particolarmente utile a chi è chiamato a 'mediare' tutti i giorni, tra il c.d. 'soggetto discriminato' e il 'soggetto discriminante'; a chi media magari ripetendosi mentalmente che i diritti non sono mediabili e sbatte poi la testa contro il muro della realtà di donne e uomini che chiedono aiuto, che rivendicano tutele che non sempre il diritto e la giustizia riescono a garantire. Per tutte queste ragioni oltre all'effettività del diritto e alle norme, di volta in volta, varate dalle istituzioni - che possono peraltro generare, in taluni casi, un "diritto contro" (cfr. O. Giolo, M. Pifferi [a cura di], Diritto contro: meccanismi giuridici di esclusione dello straniero, Giappichelli, Torino, 2009) - occorre un occhio vigile e un impegno sociale e politico che, assumendo il punto di vista delle vittime, contrasti ogni forma di discriminazione a partire dagli innumerevoli spazi che compongono la società.

Angelica Bertellini