2006

A. Capitini, Le ragioni della nonviolenza. Antologia degli scritti, a cura di Mario Martini, ETS, Pisa 2004, pp. 195 (*)

Negli ultimi anni è andato espandendosi - simmetricamente rispetto all''esplosione' di una letteratura sui temi della guerra nelle sue molteplici forme ('giusta', 'etica', 'umanitaria', 'preventiva', 'per la democrazia', 'contro il terrorismo', 'globale') - lo spazio di discorso sui temi della pace e della nonviolenza. Anche in Italia l'analisi, in chiave sociologica e politologica, sui processi che hanno visto affermarsi un imponente movimento per la pace è andata articolandosi e, gradualmente, a fianco di pubblicazioni di natura più propriamente 'militante' (tese ad indagare linguaggi, pratiche, connotati di tale variegata costellazione), si è allargato il campo di studi sulle questioni del pacifismo e sugli autori che più hanno contribuito all'elaborazione delle teorie della nonviolenza. Tra questi un ruolo centrale, per quanto solo negli ultimi tempi approfondito in maniera sistematica con gli strumenti della filosofia e della teoria politica (cfr. P. Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Aosta, Stylos, 2001) spetta senza dubbio ad Aldo Capitini (1899-1968), massimo teorizzatore della nonviolenza in Italia e forse anche in ambito europeo (avvicinabile a Gandhi nel contesto internazionale), attuatore, al contempo, dei suoi principi e dei suoi metodi, nonché costruttore di concrete pratiche di pace (in primis attraverso la Marcia Perugia-Assisi, ideata nel 1961, e la rete costituita dai COS, Centri di orientamento sociale, attivi nel secondo dopoguerra).

L'antologia curata da Martini, da anni impegnato in uno studio analitico dell'opera del filosofo (a lui si deve - tra l'altro - la cura degli Scritti filosofici e religiosi: Capitini 1998), offre una puntuale presentazione del pensiero di Capitini, delle sue radici, e delle molteplici dimensioni che in esso interagiscono: quella religiosa, quella filosofica, quella specificamente politica. «È infatti una ragione intrinseca quella che collega in Capitini le idee, il pensiero, e l'azione, la testimonianza. Egli ha saputo tradurre nella pratica le idee della nonviolenza, e d'altra parte ha saputo impiantare in un discorso teorico, filosofico e religioso, ma anche politico, i principi della stessa perché ne risultassero giustificati razionalmente» (p. 9). Come ha puntualmente sottolineato Tommaso Greco, «solo tenendo presente questo nesso, quindi, è possibile riprendere seriamente il lascito teorico di colui che è da considerare a tutti gli effetti come uno dei fondatori della "scienza politica nonviolenta"» (Greco 2000).

In lui, come in Gandhi, la nonviolenza ha origini e caratteri religiosi; sia l'atteggiamento nonviolento, sia quello religioso hanno, infatti, lo stesso punto di partenza: la coscienza della limitatezza della realtà, della sua insufficienza. A partire dall'assunto della violenza come «indifferenza» scaturisce una forte tensione etica all'apertura verso il cambiamento: vedere le cose nella loro possibilità di essere diverse da come sono, e attivarsi perché lo siano significa sottrarsi all'acquiescenza al reale, alle logiche dominanti, ai meri fatti. «Il fatto è ciò che troviamo nella nuda realtà, mentre il valore è ciò che muove da noi verso la realtà e, aggiungendosi ad essa, la cambia: non si invera niente se non attraverso un'aggiunta valoriale» (p. 13).

In Capitini, come per molti versi anche nella filosofia del dialogo dell'amico Guido Calogero, la nonviolenza rimanda, significativamente, a ciò che oggi suole definirsi 'etica della cura': «la nonviolenza è, dunque, dire tu ad un essere concreto e individuato; è avere interessamento, attenzione, rispetto, affetto per lui; è aver gioia che esso esista, che sia nato, e se non fosse nato, noi gli daremmo la nascita: assumiamo su di noi l'atto del suo trovarsi come madri nel mondo, siamo come madri» (p. 74)

Su un piano più propriamente filosofico-teoretico, Capitini si pone in netto contrasto nei confronti di quella tradizione polemologica che a partire da Eraclito giunge alla dialettica hegeliana e a Marx: il nesso costitutivo, originario, non è quello «conflitto-necessità», ma quello «conflitto-aggiunta», proposta di superamento dello stesso. Il conflitto può essere superato non attraverso la considerazione della necessità, ma attraverso il suo contrario, la possibilità : non si combatte la guerra con la guerra, ma si lotta prima della guerra preparando il suo contrario. Il conflitto si supera mettendo qualcosa di diverso al posto di ciò che lo ha generato e affrontandolo con metodi diversi da quelli dell'avversario: scaturisce da questa convinzione la prassi capitiniana di «contrasto e aggiunta», che rifiuta il paradigma polemico che da Eraclito nutre dal profondo tutto il pensiero occidentale (per una visione d'insieme della «linea di belligeranza» che attraversa il pensiero occidentale, si veda, da ultimo, La Valle 2005, in part. pp. 22-33).

Da questa visione scaturisce la concezione filosofico-politica di Capitini, la sua idea di una democrazia 'integrale': una vera democrazia è per lui nonviolenta, e richiede un processo di educazione permanente. A questo riguardo è la terza parte dell'antologia quella che affronta il nodo cruciale, la domanda che viene posta al nonviolento e che il nonviolento non può eludere: è possibile una politica - efficace - della nonviolenza? (p. 138).

La proposta della nonviolenza comporta l'oltrepassamento dell'etica storicistica e della tradizione realistica occidentale, e si configura, pertanto come una forma di rivoluzione permanente che parte, osserva Martini, dall'interno delle ideologie affermatesi in Occidente, sia di quelle liberali e liberistiche sia di quelle socialiste (pp. 20; cfr. pp. 187-191). È dalla critica del realismo politico che scaturisce dunque una peculiare prospettiva come il liberalsocialismo o, come si è suggerito di recente, del libero-socialismo (proposta opportunamente avanzata in Moscati 2001). La politica della nonviolenza non rifugge la realtà, anzi la attraversa, si addentra in essa, è lotta, una «lotta continua» che immerge nel mondo, «attiva» e «modesta» (pp. 51, 55), alla «continua ricerca di ampie solidarietà» (p. 182), alternativa a qualsiasi forma di chiusura egoistica e di indifferenza. Essa - come mostra tutto l'orientamento pratico e sociale di Capitini nel corso della sua esistenza e la sua elaborazione e sperimentazione di forme di intervento nonviolento (di cui si fornisce un'ampia illustrazione nella parte quarta) - è volta a rendere la nonviolenza un fatto pubblico, sociale, di dimensioni sempre più ampie fino a divenire internazionale: «la società mondiale va considerata investita di questo dinamismo della nonviolenza, specialmente se noi sapremo coordinare la nonviolenza nel mondo» (p. 81).

Capitini propugnava una "Internazionale nonviolenta", dal basso (pp. 141-142), che oggi si può concretamente intravedere nei vari movimenti pacifisti a carattere globale. Entro tale orizzonte si mira al superamento delle strutture di dominio ponendo in primo piano il legame organico tra mezzi e fini: la coerenza tra il fine e i mezzi, sempre trascurati nella logica occidentale, la nonviolenza si pone, pertanto, non solo come un'esigenza morale, ma come un'esigenza della validità dell'azione politica.

L'attualità del messaggio di Capitini si manifesta in molteplici aspetti: in primo luogo, esso presuppone una diversa concettualità del potere, la cui logica - affinché non si tramuti in dominio - necessita della nonviolenza, che si muove sempre «dal basso», e dalla sua capillare diffusione e articolazione orizzontale (secondo il modello della omnicrazia e del federalismo); in secondo luogo, esso mostra che è possibile generare un pensiero normativo che opti per la nonviolenza e che dunque non si limiti a registrare i fatti che si svolgono nella vita sociale e politica ma sappia orientare gli eventi attraverso un rimando continuo tra situazione contingente, ragione come argomentazione e opzione valoriale (operazione che può connotarsi, anche laicamente, con «argomenti e ragioni della nonviolenza»); infine - questo ci pare il senso più radicale dell'opera capitiniana - il messaggio e la prassi della nonviolenza possono considerarsi espressione di un modo peculiare dell'atteggiamento 'realistico', ovvero quello che invita a vedere le cose nella loro possibilità di essere diverse da come sono attualmente, e ad attivarsi perché lo siano; ciò sulla base del principio che 'non è reale solamente ciò che è reale, ma è reale anche ciò di cui abbiamo bisogno'.

Il bisogno, oggi, appare quello di un'abolizione dello «schema» dominante (cfr. p. 77), di un cambio di paradigma: dal conflitto-necessità al conflitto-aggiunta, ovvero il superamento del conflitto che diventa guerra. Sono questi gli argomenti dei sostenitori di un pacifismo radicale e attivo - oltre a Capitini e Gandhi, quello di Bertrand Russell, Ernesto Balducci, Danilo Dolci - che rileva, realisticamente, come la guerra non abbia più senso per il semplice fatto che non si vince più. Per il semplice fatto che anche una guerra vinta non chiude il conflitto che voleva chiudere, ma anzi lo riapre in forme più nuove e terribili.

Una doppia, inedita, possibilità emerge dunque dagli scritti di Capitini: individuare e praticare un modo alternativo di realismo («Realista è chi sa gettare nel profondo del suo tempo lo scandaglio, e avverte non ciò che ripete il passato come fu, ma ciò che apre, che rinnova energicamente») e porsi concretamente l'ambizioso obiettivo di «vincere la ripetizione della storia secondo categorie consuete» (pp. 185, 186). Una forza costante per smentire i dati che sembravano ineluttabili, per tramutare la logica della politica, per cambiare il corso delle cose a partire da un'alternativa immediatamente messa in atto, anche se di lunghissima scadenza: di tutto questo è stata testimonianza la dedizione totale di Capitini ad una 'causa' che tutte le altre ricomprendeva, quella della nonviolenza.

Thomas Casadei

Riferimenti bibliografici:

  • Capitini A., Scritti filosofici e religiosi, a cura di M. Martini, Perugia, Centro studi Aldo Capitini, 1998.
  • Id., Danilo Dolci, Manduria, Lacaita, 1958 e Lettere a Danilo Dolci, «Il Ponte», 10, 1969, pp. 1241-1278.
  • Dolci D., Luci di prospettive vastissime, in Il messaggio di Aldo Capitini, Manduria, Lacaita, 1977.
  • Greco T., Capitini preso sul serio, «Il Grandevetro», 151, marzo-aprile, 2000.
  • La Valle R., Agonia e vocazione dell'Occidente, Milano, Terre di mezzo, 2005.
  • Moscati G., Il libero-socialismo di Aldo Capitini, in G.B. Furiozzi (a cura di), Aldo Capitini tra socialismo e liberalismo, Milano, Angeli, 2001.

A proposito dei testimoni del pensiero nonviolento citati nel testo e in stretto rapporto con la figura di Capitini, si possono vedere alcune recenti pubblicazioni:

  • Ernesto Balducci: bibliografia critica: 1956-2002, a cura di A. Cecconi, Fiesole, Fondazione Ernesto Balducci, 2002.
  • In nome dell'uomo: per conoscere Ernesto Balducci, antologia a cura di A. Cecconi, Fiesole, Fondazione Ernesto Balducci, 2005.
  • Barone G., La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo critico di Danilo Dolci, Napoli, Dante & Descartes, 20052.
  • Cingari S., Il pensiero politico-sociale di Ernesto Balducci e la globalizzazione, Firenze, Chiari, 2004.
  • Giummo L.C. e Marchese C. (a cura di), Danilo Dolci e la via della nonviolenza, Manduria, Lacaita, 2005.
  • Polito P., Danilo Dolci (1924-1997), «Teoria politica», 2, 2001.
  • Malucchi M., Ernesto Balducci: cattolicesimo, marxismo, etica planetaria, Firenze, Chiari, 2002.

*. Una versione più breve, e rivista in alcuni punti, di questa recensione si trova in «Filosofia politica», n. 1, 2006, pp. 162-164.