2005

G. Bonaiuti, A. Simoncini (a cura di), La catastrofe e il parassita. Scenari della transizione globale, Mimesis, Milano 2004, pp. 364, ISBN 88-8483-226-8

A che punto è la notte delle teorie della globalizzazione? Che ne è dei principali 'gesti' cognitivi della modernità quando si trovano a fronteggiare, come oggi accade, un pluriverso cangiante di oggetti instabili? La stessa timida formulazione di domande sulla realtà attuale non scatena un pandemonio d'effetti-specchio che rimandano ogni osservatore al carattere limitato, insufficiente (e dunque percepito come falso) di ogni sua osservazione? Latitanza del senso e 'vedovanza' dal Soggetto sembrano ancora caratterizzare, anche se solo come gramaglie cadenti e ormai ingiallite dal tempo, attitudini teoriche intenzionalmente conclusive, che stentano una volta di più a eguagliare il proprio oggetto, a circoscriverne logica e storia, a trovarne il protagonista eponimo, senza accorgersi talvolta di essere, sia pur modestamente ma inevitabilmente, parte in causa.

Il tentativo tutto meta- e iperteorico con cui si apre questo volume (Introduzione di G. Bonaiuti) è quello di venire a patti, riflessivamente e criticamente, con l'incompletezza, assumendola in tutta la sua pervasività come un dato ormai inaggirabile e, per molti versi, prezioso (non ci troviamo dinanzi a un deficit ma piuttosto a un'inflazione di verità). La 'dissonanza cognitiva' tra modelli ermeneutici e fenomeni empirici viene qui valorizzata come indice di razionalità imperfetta e non perfettibile, se non appunto previa l'assunzione autocritica del proprio carattere contingente e inesaustivo. La posta in gioco, come si sarà intuito, non è soltanto una o molte definizioni della globalizzazione, inclusa quella che la descrive come categoria compensativa tutta interna all'ideologia della perdita del senso. È piuttosto l'elaborazione approssimativa di un 'frattale' teorico capace di riflettere su di sé e in tal modo assumere asintoticamente - sia pure nella massima generalità concettuale benché il più concreta possibile - la logica di tutti gli altri spezzoni incompleti ma ciechi, e perciò sofferenti di fronte al loro carattere modernamente insufficiente. Lungi dal far solo subodorare una deriva relativistica postmoderna (aggregata del resto in quanto tale - necessaria - al panorama d'insieme, un andersiano "sguardo dalla Luna"), questo approccio teorico vuole piuttosto alludere a un irriguardoso perché riflessivamente smaliziato universalismo insaturo. Una scommessa che si traduce nell'accettare che la perimetrazione del mondo, insomma una sua ragionevole razionalizzazione, possa compiersi sotto il segno di una logica dell'ordine e della complessità che gli è propria, ivi incluso il paradigma che apparentemente, ma ricorsivamente, più gli si oppone: quello della catastrofe. Con essa non viene intesa, o almeno non in prima battuta, la percezione comune del catastrofismo volgare (nonché di certo nichilismo novecentesco): "ciò che proponiamo è il concetto di catastrofe come strumento di riflessività della globalità in transizione" (p. 25). La logica della catastrofe (ovvero della discontinuità ricorsiva, dell'eccezione reiterata e normalizzata, della transizione globale come routine) reca in sé la semantica di una crisi produttiva di nuovo ordine (è il caso della guerra come modus operandi delle più recenti riconfigurazioni geopolitiche), ossia di un ordine che, ridislocando sistemicamente i propri requisiti funzionali (siano essi di natura economica, politica, massmediale o altra), ridisegna continuamente se stesso entro e attraverso crisi e fratture materiali prima ancora che epistemiche. In questo senso la figura della catastrofe si rivela più che calzante rispetto al carattere emergenziale della globalizzazione e alla generale rappresentazione dei processi sociali che essa innesca.

Se la logica catastrofista aderisce al movimento spezzato del reale e restituisce quindi intenzionalmente inevasa la domanda sul senso, lasciando avvolta dal manto della contingenza la polisemia della complessità, l'abitatore più adatto di questi paraggi è il parassita, icona necessariamente multipla dell'individuo (o del macroindividuo) che vive sulla soglia. In un contesto globale di relazioni asimmetriche e di ricorrenti catastrofi (crisi della sovranità, sospensione del diritto, sgretolarsi della cittadinanza o ridislocazione dei limiti dell'interno e dell'esterno), parassitaria è ogni azione che, da un punto di vista sistemico, offra un minimo di resistenza (leggi: immunizzazione) ai manrovesci degli aggiustamenti funzionali anonimi ma anche, allo stesso titolo, ogni azione che s'innervi su questi ultimi, strumentalizzandoli. A questo livello di generalità, figure del parassitismo possono essere tanto anziani, malati, cassintegrati e migranti, quanto speculatori finanziari, terroristi globali o politici corrotti. La "parassitologia sociale" riconosce a tutte queste identità almeno una cosa in comune, ed è ciò che la fa raccomandare quale strumento euristico all'altezza della globalizzazione: con la loro sola presenza ('umana') esse calamitano l'attenzione sul punto di attrito e di eccezione in cui s'interrompe il flusso altrimenti lineare della comunicazione e della riproduzione sociale. Si tratta, in questo argomento, di una marcatura sottile e all'insegna del paradosso (e che certo deve fare molta strada per rendersi teoricamente convincente), ma il cui punto archimedeo sta nello sforzo di valorizzare un dato di fatto incontrovertibile benché negletto dagli strumenti analitici tradizionali dell'antropologia e della sociologia politica: al punto in cui siamo, parassitario è il destino di chiunque, in quanto umano, abiti una società globale ipercomplessa che rende cronica e generalizzata la condizione di marginalità e interstizialità mediante meccanismi di sicurizzazione e di esclusione indotti da catastrofi sistemiche ricorrenti, dunque deprivate di regole e di senso. "Parassitaria è la logica dell'umano allorché lo si confronti con la riproducibilità immediata di qualsiasi sistema: eccentrica e squilibrata, abusiva e insufficiente, esteriore e interna, partecipe e distaccata. Lo è in un senso per nulla scandaloso: definisce l'uomo per una insufficienza che chiede compensazione senza reprocità" (pp. 32-33). Possiamo chiederci se, attraverso questa provocazione che punta dritto sulla ventura del fattore antropologico (o, volendo, biopolitico) all'interno delle inesauribili metamorfosi di sistemi autopoietici indipendenti, non si imponga alla fine e quasi di soppiatto una preoccupazione per le sorti dell'umanità o, per dirla con Sloterdijk, un'inquietudine sull'attuale gestione (o ingestibilità) del "parco umano".

"Catastrofe" e "parassita" sono paradigmi imperfetti ma appunto per questo densi e propositivi, e a chi volesse saggiarne la plausibilità non resta che leggere i testi contenuti in questo volume con l'occhio reso sgranato e forse stranito da questa ambiziosa introduzione. I saggi che seguono, altrettante incursioni in alcuni "scenari della transizione globale" (come recita il sottotitolo), forniscono infatti abbondante materiale concreto per la messa in opera delle precedenti categorie, anche se nessuno di essi si riferisce esplicitamente alla cornice introduttiva. I contributi sono articolati in tre sezioni: L'ordine della guerra, Ordinamenti, Inclusione/esclusione. Nella prima il tema capitale delle nuove guerre è affrontato da molteplici punti di vista: in chiave filosofico-politica, la riattualizzazione della guerra giusta viene considerata in controluce rispetto al suo portato di riaffermazione dei diritti della comunità e di superamento 'umanitario' della sovranità statale (M. Tomba); da un'angolatura di politica internazionale si osserva come il rapporto strategico-politico moderno di guerra e società perde centralità a favore della dimensione tattica resa possibile dalla tecnicizzazione del campo militare (E. Diodato) e si valutano gli effetti geopolitici dell'espansione statunitense in Asia centrale (M. Chiaruzzi); da un punto di vista polemologico, poi, accanto a una rivalutazione del pensiero di Clausewitz, divenuto obsoleto per l'analisi dei conflitti - asimmetrici, opachi, eterogenei - ma di nuovo attuale se applicato all'intera vita sociale, ormai ricodificata sul modello bellico (E. Terray), viene presentata una ricca analisi fenomenologica della guerra totale e delle sue forme, dalla guerra preventiva a quella privatizzata alla guerra informatica ed economica (A. Lodovisi).

La seconda parte è dedicata a due letture degli ordinamenti globali: come crisi politica della sovranità statale, e dunque come possibilità di un ordine senza sovranità, in cui la neutralizzazione del conflitto è legata a una metamorfosi della soggettività occidentale moderna (D. D'Andrea), e come nuovo ordine mondiale neoliberista, rivisto alla luce del concetto marcusiano di "controrivoluzione preventiva" (R. Laudani). La terza parte, infine, esamina nel concreto le ridefinizioni delle dinamiche inclusive ed esclusive proprie delle società globalizzate, dalla critica alle nuove politiche sociali (ad esempio europee) che producono erosione dei diritti sociali e desocializzazione delle povertà (G. Procacci), alla denuncia del modello Schengen quale veicolo di inclusione come precarizzazione ed esclusione come criminalizzazione (A. Simoncini), o quale ridisegno delle frontiere attraverso una politica dei visti e operazioni di polizia a distanza (D. Bigo e E. Guild), all'analisi, per ultimo, dei ricercati nessi tra terrorismo e immigrazione in una sempre più sofisticata costruzione dell'immagine del nemico interno - figura parassitaria par excellence (A. Ceyhan). Un panorama necessariamente incompleto ma che ben coglie, mediante l'ardita proposta teorica generale e una disamina sistematica e talvolta tecnica dei nuovi scenari, le dimensioni costitutivamente ordinative sottese alle dinamiche plurali, contraddittorie e 'catastrofiche' di globalizzazione della società. È a quest'ultima, infine, che l'intero lavoro induce a riportare l'attenzione, alle "esperienze concrete e minute" che in essa si generano e si consumano, senza dimenticare, indaffarati come siamo dalla sfida della complessità, che solo il singolare, l'asimmetrico, il "parassita" può dar luogo a una comprensione non dogmatica e non irretita dai propri paradossi.

Alessandro Paoli