2005

L. Boltanski, È. Chiapello, Le nouvel esprit du capitalisme, Gallimard, Paris 1999, pp. 845, ISBN 2-07-074995-9

Luc Boltanski e Ève Chiapello analizzano, da un punto di vista sociologico, i mutamenti ideologici che hanno accompagnato le trasformazioni del capitalismo negli ultimi quaranta anni. Questo aspetto è costantemente intrecciato con le critiche che al capitalismo sono state rivolte, con maggiore intensità nel corso degli anni '60, con una drastica diminuzione negli anni '80 e con la ricerca di un nuovo tipo di critica nel corso degli anni '90. Il materiale preso in considerazione dagli autori è principalmente la letteratura - quindi la parola, il discorso - del management, in particolare attraverso il caso francese. Si sostiene, però, che il modello costruito sia valido anche per gli altri paesi a capitalismo avanzato, seppure con le dovute e necessarie precisazioni.

La critica al capitalismo, secondo Boltanski e Chiapello, si può schematizzare secondo una grande divisione tra "critica sociale" e "critica artistica". Se la prima prende di mira l'egoismo implicito nel modo di produzione capitalistico, così come la miseria dilagante che quello produce, la seconda si concentra più sui rapporti sociali che il capitalismo produce, sull'oppressione della creatività e della autenticità dei rapporti individuali, sulla reificazione di ogni aspetto dell'esistenza umana.

La tesi degli autori è che il capitalismo, dall'inizio degli anni '70, ha lavorato prevalentemente a fronteggiare ed a sussumere la critica artistica. Non tanto nel senso di neutralizzarla, quanto piuttosto di recuperarla a sé, valorizzarla e perfino inserirla al cuore del proprio mutamento pratico e soprattutto ideologico. La tesi che sottende tutto il lavoro è che qualsiasi modo di produzione, ma in particolare il capitalismo, ha bisogno per funzionare di una giustificazione, di una propria ideologia in grado di coinvolgere e legare a sé i soggetti che, a diversi livelli, vi sono implicati. Attraverso i manuali di management rivolti ai quadri, Boltanski e Chiapello mostrano lo sviluppo di questo discorso sulla giustificazione.

Se fino alla fine degli anni '60 questo sforzo ideologico riguardava principalmente se non esclusivamente i 'quadri', dall'inizio degli anni '70 e successivamente il capitalismo ha avvertito il bisogno di rispondere alla propria crisi rivolgendosi all'insieme dei salariati e, tendenzialmente, all'intera società. Particolarmente importante, in questo contesto, l'idea che la "borghesia", come classe, si pretende universale, incarnando l'ideale del bene comune e dell'interesse generale dell'intera società. I "quadri", in questo modo, sono spinti a trasformarsi in "manager", innanzitutto di sé stessi, ed a giustificare il proprio ruolo non più secondo le rigidità gerarchiche del vecchio ordine capitalistico, ma attraverso la flessibilità, l'adattabilità, la propria fantasia e sensibilità che vengono così messe a lavoro per coinvolgere ed aggregare un'equipe intorno ad un progetto limitato nel tempo.

Ora, secondo gli autori, è proprio attraverso le novità - specialmente linguistiche - proprie della "critica artistica" che il discorso sul management riesce a superare la propria crisi profonda. Questa era dovuta, tra la fine degli anni '60 e l'inizio del decennio successivo, ad un atteggiamento, diffuso tra i lavoratori, di grande demotivazione ed insubordinazione, tendente al disinteresse verso il lavoro o addirittura al sabotaggio piuttosto che alla cooperazione, segnato in profondità dal rifiuto della gerarchia e del comando. Uno degli aspetti più interessanti di questo percorso è proprio la capacità della nuova organizzazione di adattarsi al mutamento, di recuperare e far proprio un discorso che in origine le era totalmente contrario.

In quest'ottica Boltanski e Chiapello utilizzano in particolare strumenti concettuali forgiati da Marx e ripresi da Schumpeter. Il riferimento - esplicito già nel titolo - è poi a Weber, nel riconoscere la necessità ineludibile per il capitalismo di trovare una giustificazione etica esterna e perfino estranea per il proprio funzionamento e per il necessario coinvolgimento delle persone.

Di enorme importanza, in questo percorso, il fatto che il recupero della critica si accompagni all'idea costante della crisi del capitalismo, all'intreccio tra la sua forza e la sua debolezza. Aspetti, questi, che tentano di sfuggire alla descrizione dei mutamenti epocali in corso attraverso una semplice riduzione nei termini esclusivi del dominio e della violenza, cercando di cogliere gli aspetti di maggiore complessità nell'epoca della globalizzazione. Questo lavoro ideologico operato dal capitalismo, infatti, è legato e favorito dalla trasformazione relazionale e linguistica del lavoro che si accompagna alla globalizzazione economica su scala planetaria. La 'rete', che descrive il nuovo modello organizzativo, non è solo ciò che sostituisce le vecchie rigidità gerarchiche ma è anche ciò che allarga le nuove possibilità comunicative e di creatività relazionale.

Diverse critiche sono state rivolte a questo volume. In particolare quella di sovrastimare la novità di questo "spirito", che sarebbe invece sempre legato all'autorità ed alla violenza del sistema, semplicemente trasformate in forme che, talvolta, farebbero rimpiangere quelle più antiche. La distinzione tra critica "sociale" ed "artistica", poi, sembrerebbe mascherare quella più profonda tra una critica radicale ed una moderata, tendente a riformare e giustificare il capitalismo stesso, piuttosto che a criticarlo in profondità. Gli autori, in effetti, propongono nella parte finale del libro una associazione delle due modalità, una loro reciproca contaminazione volta a trarre il meglio da entrambe per rinnovare in profondità la critica al capitalismo. Questi aspetti della discussione segnalano, più che le debolezze dell'analisi, la complessità del tema trattato, sottolineando tutta l'importanza di questo volume nel recente panorama critico della sociologia.

Filippo Del Lucchese