2005

R. Aron, Il ventesimo secolo. Guerre e società industriale, il Mulino, Bologna 2003, pp. XIII-255, ISBN 88-15-09087-8

Il volume raccoglie cinque saggi, accomunati più da una fitta rete di richiami tematici che da una vera e propria compattezza strutturale. Due fra essi ("Guerra e società industriale", e "L'alba della storia universale") sono frutto di conferenze che l'autore tenne a Londra; un terzo ("Nazioni e imperi") costituì una voce della "Encyclopédie française"; il saggio su Tucidide apparve invece su una rivista anglosassone, mentre l'ultimo saggio nacque come introduzione ad un'edizione francese di Max Weber. I testi - presentati per la prima volta in italiano da un editore che si sta impegnando da anni nella traduzione del lavoro 'minore' di Aron - furono tutti pubblicati in Francia tra il 1957 ed il 1961: un limitato arco di tempo, che si riflette nel ripetuto richiamo a temi ed autori che il sociologo stava più intensamente studiando in quella fase del suo lavoro.

Al centro delle riflessioni di Aron c'era la prima metà del secolo passato. L'autore stava vivendo la prima fase della Guerra fredda, e la ingombrante presenza dei due blocchi 'imperiali' raggruppatisi intorno agli Stati Uniti ed all'Unione Sovietica. Entro l'ampia cornice dei temi evocati, erano i due grandi e traumatici eventi della recente storia europea a sollecitare più profondamente Aron: ci riferiamo, ovviamente, alle due Guerre mondiali, precisando che i fatti del 1914 lo tormentavano molto più di quelli avvenuti fra il 1939 ed il 1945. Il 1914 ha rappresentato l'inizio della "guerra dei trent'anni" che ha demolito il dominio globale dell'Europa. La rilettura degli avvenimenti storici è comunque sempre condotta attraverso il confronto con alcuni classici della storiografia e del pensiero politico, sociologico ed economico antico e moderno: gli autori che campeggiano in questi scritti sono Tucidide, Saint-Simon, Comte, Marx, Lenin, Weber, Toynbee.

Confrontando "L'alba della storia universale" (pp. 141-170) e il saggio su Tucidide (pp. 171-205) è possibile rinvenire un filo interpretativo che collega fra loro le diverse parti del volume. Aron riconosce l'emersione di una storia nuova e originale: la storia universale di un'umanità unificata, che ha oltrepassato le storie parziali, nazionali, regionali (pp. 161-162). Questa storia è prodotta dall'unificazione tecnica ed economica, cui però si contrappone una storia, tradizionale ("as usual"), mossa dalla casualità, da eventi drammatici e attori concreti, da guerre ed eserciti.

Se il positivismo ottocentesco ha tanta parte in questi saggi, ciò dipende dall'intenzione di Aron di mettere alla prova l'idea delle regolarità che si manifestano nella storia. La convinzione della filosofia di Comte - che l'industrializzazione contenesse cioè i germi di una strutturale pacificazione dell'umanità - è la più direttamente chiamata in causa; ma l'argomentazione di Aron trascina in un vortice critico anche il marxismo ed il liberalismo ottimistico del XIX secolo. Dal 1914, la storia 'abituale' si è presa una serie di meste rivincite nei confronti di concezioni del mondo e del corso storico che credevano possibile superare la vecchia politica attraverso un quadro di riferimento in cui il primato spettasse alla sfera dell'economia.

Aron costruisce un marcato contrasto tra i concetti di "dramma" e di "processo". Da una parte l'originalità storica si presenta nella veste di un processo necessario, prevedibile, indipendente dalle decisioni. Dall'altra, la storia tradizionale ripropone i drammi nei quali la volontà delle persone ed il puro caso hanno creato sanguinosi conflitti. Non è per semplice simmetria etimologica se il sociologo insiste sul "dramma" nella conferenza intorno all'alba della storia universale, e poi sull'"azione umana" nell'intervento su Tucidide. Aron mostra così, in effetti, tutto il suo gusto per la teatralità della politica tradizionale, dove popoli e monarchi scelgono ed agiscono sulla gran scena della Storia. L'autore riconosce il combinarsi odierno della storia tradizionale con la storia processuale. Eppure come sono privi di pathos i suoi rimandi alla "storia necessaria" (p. 159), quella già iscritta nei processi tecnico-economici di lunga lena! E malgrado lo sforzo di Aron di mantenersi equidistante dai problemi, e di proporsi come spassionato analista, quanta nostalgia si respira nei confronti di una storiografia animata da gesta e da persone invece che ispirata ad una filosofia della storia!

Quando Aron affronta uno specifico fatto storico, pone una domanda martellante: "E se le cose fossero andate diversamente"? Cosa sarebbe accaduto, ad esempio, se nell'estate del 1914 i due corpi d'armata tedeschi fossero stati inviati sulla Marna invece che ad oriente? Ed il punto sta nel fatto che essi potevano davvero essere disposti in altro modo, perché nel pensiero di Aron la decisione personale conserva un potenziale dirimente in mezzo alle circostanze presentate sulla scena del dramma storico-mondiale.

A questa difesa dell'evento storico, dell'événement, non sfugge un accento critico, sebbene implicito, nei confronti della storiografia francese rampante e coeva: "La domanda 'che cosa sarebbe successo se...?' si pone irresistibilmente allo storico che considera il passato sotto l'aspetto evenemenziale. La definizione che abbiamo dato di evento spiega immediatamente la relazione fra evento (événement) e fatto fortuito (accident). Poiché un evento è azione di uno o più uomini e spontaneamente pensiamo ad un'azione libera [...] noi la pensiamo non inevitabile in rapporto alla situazione" (pp. 190-191).

Il punto di approdo di Aron mi pare tuttavia l'affermazione dell'autonomia della politica, a fronte del presunto, crescente, primato dell'economia: "La storia degli avvenimenti non è riducibile a quella della società, delle classi, delle economie" (p. 187). Tucidide, che visse quello che descrisse, era nella posizione più adatta per raccontare la politica nell'accezione di Aron: un agire umano che preserva tanto la spigolosità del caso che la potenza della scelta volontaria. E anche l'interesse per Tucidide si radica, in prima battuta, su una stringente analogia con l'epoca contemporanea: a partire dal 1914, la congiuntura e lo sviluppo nelle relazioni internazionali ricordano la guerra del Peloponneso, con la Germania al posto di Atene. Nella straordinaria e lugubre novità del modo di far la guerra inaugurato con il 1914, Aron volle scorgere anche la coriacea persistenza di una Storia che non vuole cambiare, né essere definitivamente pacificata.

Nicola Casanova