2005

D. Archibugi, D. Beetham, Diritti umani e democrazia cosmopolitica, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 167, ISBN 88-07-47022-5

Nella società contemporanea la questione della democrazia, intesa come idea e al contempo come progetto o istituzione politica, viene influenzata da due dimensioni, costituite dai diritti umani e dai processi di globalizzazione. I saggi di Archibugi e Beetham cercano di mettere ordine su questi temi.

Il saggio di apertura, La dichiarazione universale dei diritti umani cinquant'anni dopo, scritto congiuntamente dai due autori, sviluppa alcune riflessioni introduttive alla Dichiarazione dei diritti e, più in generale, al tema dei diritti umani. Essa ha costituito una conquista di grande rilevanza sia politica che culturale, soprattutto perché l'evoluzione della teoria e della prassi dei diritti umani negli ultimi tre secoli costituisce una vicenda parallela a quella della sovranità. Tuttavia, gli autori sottolineano che, attualmente, il problema dei diritti umani, non è tanto quello filosofico della loro giustificazione, quanto piuttosto quello politico, della loro protezione. Sono proprio gli stati che spesso disattendono i diritti umani. Il cinquantenario della Dichiarazione, al momento dell'uscita di questo testo, nel 1998, è un'occasione per riaffermare il legame tra un'autentica democrazia e i diritti umani.

Beetham, nel saggio Diritti umani e democrazia: un relazione dalle molteplici facce, esplora appunto questa relazione. Preliminarmente egli nota che democrazia e diritti umani sono stati a lungo considerati come fenomeni distinti, anche dal punto di vista delle discipline che dovevano occuparsene (scienza politica per democrazia, giurisprudenza per diritti umani). In realtà, le due dimensioni devono essere, soprattutto all'epoca attuale, considerate strettamente legate. Beetham pensa che non sia possibile definire la democrazia solo in termini di un insieme di istituzioni politiche, trascurando la difesa dei diritti individuali, pena la tirannia della maggioranza già diagnosticata da Mill e Tocqueville: «i diritti umani costituiscono una parte intrinseca della democrazia, perché la garanzia delle libertà fondamentali è una condizione necessaria affinché la voce del popolo incida sugli affari pubblici, e affinché il controllo popolare sul governo sia assicurato» (p. 31). In particolare Beetham insiste sull'importanza di uno specifico tipo di diritti umani per la democrazia: i diritti economici e sociali. Questi diritti sono necessari alla democrazia poiché assicurano una base minima di uguaglianza nell'accesso ad altri particolari diritti umani: i diritti civili e politici. Il fallimento nella difesa dei diritti economici e sociali produce effetti negativi sulla democrazia, connessi con l'esclusione politica, ovvero l'esclusione dalla cittadinanza, e con la qualità della vita che viene danneggiata dalla perdita di sicurezza sociale. L'autore, tuttavia, è attento a ricordare che se, da una parte, i diritti economici e sociali sono importanti per la democrazia, d'altra parte bisogna anche interrogarsi sul ruolo della democrazia per tali diritti. Il discorso si sposta sui limiti delle forme di autoritarismo sia di destra che di sinistra, che mostrano la necessità di ragionare in difesa delle democrazie per quanto riguarda i diritti economici e sociali. Tale ragionamento si fonda su due idee: «la prima riguarda l'apertura dei sistemi democratici e il fatto che chi governa debba rendere conto del proprio operato; la seconda concerne la distribuzione del potere politico» (p. 50). In pratica, i tratti sistemici della democrazia (apertura, responsabilità, distribuzione del potere) dovrebbero, per la loro natura, favorire l'attenzione alla salvaguardia dei diritti economici e sociali. Tuttavia, la democrazia è una condizione necessaria ma non sufficiente alla salvaguardia di tali diritti: «mentre il problema nelle democrazie sviluppate, è che la maggioranza può colludere nell'obliare i diritti economici e sociali, il problema nelle democrazie in via di sviluppo è che le maggioranze possono non avere il potere di rendere la propria voce effettiva» (p. 52). Ciò significa che il futuro dei diritti economici e sociali è legato non solo alle istituzioni democratiche, ma anche alla capacità di riattivare «l'ideologia che sta loro dietro» (p. 53). Tra i diritti umani vanno compresi anche i diritti culturali che sollevano la necessità di cessare di considerare i cittadini semplicemente come portatori indifferenziati di diritti e non anche come membri di particolari comunità. La relazione tra democrazia e diritti umani va, quindi, riarticolata tenendo presenti i diversi tipi di diritti umani. I diritti civili e politici costituiscono parte integrante della democrazia. Quelli sociali e economici possono essere meglio descritti se collocati in una relazione di reciproca dipendenza con la democrazia. I diritti culturali, infine, richiedono un concezione rivalutata della democrazia per realizzare l'uguaglianza delle cittadinanza. Tutto questo implica che la democrazia contemporanea sia intesa come democrazia a tre livelli: politica, sociale, pluralista.

Archibugi, nel saggio Principi di democrazia cosmopolitica, affronta, invece, i punti qualificanti del progetto cosmopolitico, cercando di sottoporli «a un nuova elaborazione critica» (p. 68). L'autore parte da alcuni presupposti fondamentali: innanzitutto l'idea che la democrazia, prima che un sistema politico, sia un percorso interminabile e un processo interattivo tra società civile e istituzioni politiche. In secondo luogo, il progetto di una democrazia globale, che il nuovo ordine internazionale sembra richiedere, deve essere basato sull'accettazione di una varietà di modelli e stadi. Infine, la democrazia per il suo funzionamento richiede un tessuto endogeno, ovvero una dinamica sociale che viene dal basso. Successivamente, egli considera gli ostacoli internazionali in cui il processo democratico incorre, esaminando da una parte l'elemento della conflittualità internazionale, dall'altro quello dell'influenza dei processi di globalizzazione. Da queste valutazioni deriva un'alternativa cruciale: «o si accettano i sistemi democratici come altamente incompiuti a causa della mancanza di un ordine mondiale a loro congeniale, oppure si tenta l'estensione della democrazia anche alla vita internazionale» (p. 78). Riguardo la questione di una democrazia globale, si possono individuare almeno tre posizioni teoriche divergenti. Una ritiene che essa sia impossibile, un'altra che non sia desiderabile, un'altra ancora che essa sia sostanzialmente un problema interno alle nazioni. La prima posizione è quella del realismo politico: una comunità nazionale non è disposta ad anteporre interessi globali a quelli locali e più aumentano i partecipanti alle scelte strategiche, come richiederebbe un progetto di democratizzazione della comunità internazionale, più il sistema internazionale diverrebbe ingovernabile. La seconda posizione è incarnata dai comunitaristi secondo cui, in comunità troppo eterogenee, diventerebbe impossibile formare una maggioranza sufficientemente omogenea da consentire la formazione di un governo. Secondo i sostenitori dell'ultima posizione, infine, il problema non sia quello della desiderabilità o della possibilità di una democrazia internazionale; più semplicemente se ogni singolo stato riuscisse a realizzare autenticamente la democrazia al suo interno, naturalmente si realizzerebbe anche quella internazionale. Al di là di questi dibattiti, Archibugi ritiene che la democrazia cosmopolitica si leghi a tre ambiti complementari: democrazia all'interno delle nazioni; democrazia tra gli stati; democrazia globale. Ora, perché questi tre ambiti possano essere realizzati, è necessario un modello di democrazia cosmopolitica che sia differente dai modelli di sistemi di stati sinora sperimentati, ossia la federazione e la confederazione. Un'istituzione cosmopolitica «coesisterebbe con un sistema di stati, ma scavalcherebbe le competenze degli stati in certe definite sfere di attività» (p. 99). Tale istituzione richiederebbe una duplice area di diritti di cittadinanza: da una parte i cittadini devono avere diritti e doveri in qualità di abitanti del pianeta, dall'altra diritti e doveri in qualità di cittadini di stati secolari; le due sfere possono sovrapporsi o essere complementari. Essa richiederebbe, inoltre, la limitazione della sovranità statale de jure e de facto. Nel modello di democrazia cosmopolitica, all'interno delle nazioni, si lascia la possibilità di diverse costituzioni politiche; tra le nazioni, i rapporti tra gli stati sono demandati a organizzazioni intergovernative; a livello globale, questioni come «quelle ambientali e quelle che riguardano la sopravvivenza del genere umano, inclusi i diritti delle generazioni future, sono demandate a istituzioni transnazionali e non solo intergovernative» (p. 105). In conclusione Archibugi delinea i possibili veicoli della democrazia cosmopolitica. Egli richiama l'attenzione alla condizione dell'Unione Europea e dell'Onu, di cui è necessaria una riforma soprattutto al livello della organizzazione del Consiglio di sicurezza, oltre che nell'ambito penale internazionale. Ma molto importante è anche il ruolo dei singoli stati e della società civile.

Chiari e lineari, al limite dello schematico, i saggi (arricchiti da un'appendice delle Dichiarazioni storiche) costituiscono un preludio per avvicinarsi ad alcune questioni della teoria politica contemporanea senza dimenticare le basi e le condizioni oggettive da cui i grandi dibattiti traggono origine.

Francesco Giacomantonio